Rapporto di un centro studi Usa. Nel 2016 90 mila cristiani sono stati uccisi per la loro fede. 900 mila quelli uccisi nell’ultimo decennio. Nella sordità totale delle istituzioni
Olocausto dei cristiani.
Lo conferma l’ultimo rapporto, relativo al 2016, del Center for Study of Global Christianity, fondato alla fine degli anni Cinquanta presso il Gordon-Conwell Theological Seminary di Hamilton, nel Massachussetts.
Anche nei dodici mesi da poco conclusi, conferma il rapporto, è stata rispettata la “quota” annua di persecuzione: 90 mila battezzati sono stati uccisi a causa della loro fede, al ritmo di uno ogni 5,8 minuti. In grande maggioranza (70%) questi martiri contemporanei sono morti in Africa, il resto in Medio Oriente e nel reticolo delle stragi che ogni giorno si compiono in Asia e in altre parti del globo.
Sempre secondo le valutazioni del Center, il numero dei cristiani martirizzati nel decennio 2005-2015 supera abbondantemente le 900 mila persone. E come le recenti vicende di Iraq, Siria ed Egitto dimostrano (per fare solo qualche esempio), questo Olocausto a pezzetti non mostra segni di rallentamento e fa nettamente del cristianesimo la religione più perseguitata al mondo.
È peraltro interessante notare che su 196 Paesi presenti alle Nazioni Unite, ben 102 impediscono in modo più o meno violento ai cristiani di praticare liberamente la loro fede. E meno metà di quei 102 sono Paesi a maggioranza islamica. D’altra parte, conferma Open Doors, al primo posto nella persecuzione c’è l’ateistica Corea del Nord, al quindicesimo l’induista India, al diciassettesimo il buddista Vietnam, al diciottesimo il Kenya che è di maggioranza cristiana, proprio come l’Etiopia che è al ventiduesimo posto.
L’aspetto straordinario di questa vicenda è che i cristiani di ogni parte del mondo, e in particolar modo quelli del Medio Oriente, si sforzano giorno per giorno, con ogni mezzo, di segnalare il loro dramma alle cancellerie che più contano nel mondo. E giorno per giorno, da decenni, si scontrano con l’incapacità dell’Occidente di modificare politiche e strategie che accentuano, invece di ridurre, i loro problemi.