di Marco Respinti
Con buona pace della galassia Lgbt, la
“teoria del gender” non solo esiste e fa danni, ma è documentabile, ha
una storia e corre sulla bocca di certi profeti. O di certe profetesse,
come la scrittrice francese Monique Wittig (1935-2003), scomparsa 80
anni fa il 13 luglio. Nella Sorbona occupata dalla contestazione del
maggio 1968 fu tra le animatrici del crogiuolo da cui sorgerà il
Mouvement de Libération des Femmes, un’organizzazione-ombrello che,
mescolando marxismo, psicoanalisi ed ecologismo, federò il radicalismo
femminista in nome del diritto alla contraccezione e all’aborto. Erano
gli anni della “seconda ondata” femminista, che si caratterizzò per la
forte sessualizzazione della “liberazione delle donne”.
La prima, infatti, a cavallo tra Ottocento e Novecento, era stata quella delle suffragette che puntavano tutto
sull’ottenimento del diritto di voto, e le cui leader statunitensi, da
Elizabeth Cady Stanton (1815-1902) a Susan B. Anthony (1820-1906), erano
rigorosamente antiabortiste. La terza, invece, sorta negli anni 1990,
incarna la fase postmoderna, infeudatasi subito all’offensiva Lgbt e
quindi corifea della “teoria di genere”.